Trovo affascinante la pratica dello sport. In qualunque palestra possiamo entrare vedremmo bambini correre, urlare di gioia, tirare calci a palloni più grandi di loro. Interagire, conoscersi, piangere, correre dalla mamma. Tornando nella stessa palestra dopo anni li troveremo più grandi, la vita e le attitudini sportive avranno fatto selezione, alcuni avranno cambiato sport e saranno altrove, altri avranno smesso non era proprio per loro, forse sospinti dai genitori staranno coltivando altri interessi. Altri ancora né l’uno né l’altro. Lavorando con gli adolescenti ho incontrato passioni di ogni genere, ho provato a sostenere e coltivare, ho provato la bellezza del portare in espansione e la frustrazione del non riuscire, la stanchezza del non poter dare l’attenzione necessaria e la sorpresa del fiorire inaspettato. Non è facile. Il nostro sistema educativo non contempla la scoperta del talento. Contempla tante cose, non questa. E’ un sistema competitivo basato sulla prestazione, siamo attenti ai contenuti meno ai processi. Mettiamo l’attenzione al risultato, meno alla crescita. Un ciclo di apprendimento necessita di contenuti, processi, full immersion, sospensioni dallo studio e soprattutto necessita di considerare lo studente una parte della persona. Serve molta comprensione, nelle criticità (disturbi dell’età evolutiva) quasi compassione! Il significato di questa parola confonde, sintetizzerei con il togliere il giudizio, l’assenza di giudizio consente all’altro di aprirsi e l’apertura non è verso di noi (seppur evidente) ma verso se stesso, verso le diverse parti di sé. Meglio, verso quel particolare taglio del sé. Particolare poiché il #talento caratterizza meglio dei nostri tratti somatici, esprime meglio del nostro volto, racconta senza parlare, meglio senza fare rumore.
Siamo presi nella morsa di programmazioni e votazioni (non è possibile esimersi) dal perdere di vista l’intero processo di crescita del quale l’adolescente è portatore, nella sua integrità. Alla fine serve un voto siamo d’accordo, servono abilità e competenze, tuttavia proviamo a pensare a parole come valutazione, in anglosassone assessement. Il voto mette l’attenzione su una prestazione, l’assessement è una metodologia di valutazione della persona atta ad individuare l’insieme delle caratteristiche comportamentali e delle qualità individuali al fine di promuovere le migliori risorse. (utilizzata in economia e in psicologia, potrebbe essere utile nella formazione) In questa visione abilità e competenze diventano funzionali a sostenere le proprie risorse naturali. Il proprio talento.
Quando contattiamo la parte autentica la nostra vita acquista prospettiva, l’intero bagaglio culturale diviene uno strumento potentissimo al servizio del nostro talento, qualsiasi cosa appresa diventa utile. E la cosa utile descrive bellezza, educe bellezza, come il nostro talento. L’espressione di sé ha bisogno di amore e pazienza, del saper attendere, quell’attesa attiva pronta a cogliere l’emergere delle qualità uniche e irripetibili, riconoscerle e sostenerle. Ha bisogno di accoglienza e fermezza, la fermezza conferisce dimensione al talento, lo contiene e lo concretizza, non geni incompresi ma qualità indirizzate e coltivate. I boccioli di una pianta fioriscono ogni primavera, noi possiamo fare lo stesso, è il corso naturale della vita. Quando uno studente (persona) è riconosciuto e questo prosegue negli anni il deficit di talune abilità o talune competenze non è una mancanza, contribuiscono solo alla descrizione del proprio assessement (pensiamo agli studenti BES). E’ interessante come i nostri limiti possano completare le nostre qualità, nella dimensione della competizione siamo costretti a sapere tutto, nel talento tutto quello che non sappiamo lascia spazio alla nostra inclinazione naturale. Nella competizione emergiamo rispetto alle nostre conoscenze, nel talento esistiamo. E’ la nostra sorgente.
Si tratti di lavoro, passione, tempo libero, quando si realizza la nostra vita si semplifica, saltiamo i passaggi inutili, come nelle espressioni, perché alla fine quello che conta veramente è cosa sappiamo fare. E, paradosso, cosa non sappiamo fare. Nei colloqui di lavoro sapere descrivere se stessi nella propria interezza è qualità apprezzata, descrive umiltà e coraggio. Il non sapere! Pensate quante cose possiamo insegnare (o promuovere) nelle nostre classi. La nostra società chiede molto, bisogna essere culturalmente ed emotivamente preparati. Possedere conoscenze e competenze consente di inserirsi nel mondo del lavoro, godere delle proprie migliori qualità aggiunge valore, consente di inserirsi nella vita con la propria integrità, portandosi dietro ogni parte di sé.
Guarisce. Il talento guarisce dalla rabbia, dalla depressione, dall’inquietudine, dissipa le paure. Provate a mettere un bambino nelle condizioni di esprimere se stesso attraverso il gioco, un adolescente attraverso l’amore per una qualsiasi attività, un adulto attraverso una passione vera, è nutrimento. E’ vero, non tutti siamo inclini a scoprire ed esplorare talenti, tuttavia quando siamo in difficoltà con un nostro studente proviamo a stimolare la scoperta del talento, o promuovere esperienze ottimali attività nelle quali riescono perfettamente, solo un tentativo e vediamo cosa succede.
Il talento riequilibra la nostra vita, la rimette insieme. Mitiga i conflitti interiori, mette in comunicazione parti di sé apparentemente lontanissime, un genitore interiore. Tutti i genitori presenti nella vita dei figli tentano di favorire questa crescita. La modernità ha prodotto un pensiero separato, un linguaggio separato precipitiamo nella corsa al raggiungimento di obiettivi professionali, siamo nel fare e abbandoniamo il sentire. Il talento è in contatto con l’anima, e l’anima non conosce separazione, chiede solo di vibrare e i filosofi antichi lo sapevano. Sa esattamente di cosa abbiamo bisogno. Siamo presi dalle nostre convinzioni, dal nostro sistema di credenze (coincidono con le nostre difese più profonde) dal perdere la visione di sé, della nostra classe, dei nostri studenti. Siamo identificati con professioni, idee, proiezioni, ecco il talento disidentifica, toglie quelle maschere, procede verso il vero. La scoperta del talento è un processo costante di disidentificazione, un cammino verso l’essenziale, verso l’essere autentici, dal greco autòs (sé stesso) ed entòs (dentro) autore di sé, pensate essere autori della propria storia. Il proprio essenziale, quelle tre o quattro cose delle quali abbiamo veramente bisogno, il resto è cultura (molto utile).
Avete presente il feng shui, l’arte giapponese del mettere ordine in casa, trovare la migliore collocazione a mobili, oggetti, suppellettili, togliere il superfluo (di nuovo l’essenziale), ecco i talenti fanno la stessa cosa, mettono ordine, dentro, al fine di trovare la vera espressione di sé e la propria collocazione nel mondo, e nelle nostre classi.
Non siamo noi gli artefici del benessere dei nostri studenti, dei loro successi scolastici, della realizzazione dei rispettivi talenti, possiamo contribuire a portare la fibra all’ultimo chilometro, il resto è responsabilità, abilità, competenze, e talento della persona. Trust the process.
Federico Lattanzi