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Guardiamoli con occhi diversi (5° Incontro) – La fiducia. Il movimento tra accoglienza e fermezza

Trovo la frase ”trust the process” pregnante nei processi di crescita, una vera e propria mappa semantica con mille estensioni di significato, (avere) fiducia nel processo, nel proprio lavoro, nei propri stati d’animo, nelle meravigliose giornate nelle quali siamo in forma, nelle giornate grigie nelle quali vorremmo essere da qualsiasi altra parte. Avere fiducia in quello che siamo, in quello che stiamo costruendo, nel senso dei passi che compiamo ogni giorno. Fiducia nelle nostre imperfezioni, migliori alleate delle nostre giornate. E quando non la percepiamo sospendere ogni giudizio (e magari lamentarsi un po’! Da bravi esseri umani!) Il senso del nostro lavoro è nel processo non nel risultato. Ricordo una bellissima poesia di Costantinos Kavafis (Itaca) un mantra da recitare ogni giorno (invito a leggerla su www.proletteratura.com). Siamo chiamati a recitare piccole parti, a gettare semi, e alla semina non segue il raccolto, segue la fiducia, fiducia nella crescita.

Trust the process significa avere fiducia nell’ambiente classe nel quale lavoriamo, nei nostri strumenti, nelle nostre intuizioni e soprattutto nelle nostre qualità. Avere fiducia nelle proprie qualità è propedeutico a tutto il resto. Andando all’essenziale, avere fiducia nell’esistenza. Quest’ultima descrive un’esperienza di abbandono, un processo di resa affinchè possiamo assumere i talenti che l’universo ha in serbo per noi, assumere le qualità del nostro essere. E questa dimensione si approfondisce nel tempo e nella quale, grazie al tempo, incontreremo ogni cosa (la nostra realizzazione). Tuttavia possiamo abbandonarci quando abbiamo conosciuto le nostre qualità, quando partecipiamo attivamente alla vita, espletando doveri, assumendo responsabilità.

Confesso oggi la poca distanza tra fiducia e santità. Tuttavia riflettiamo insieme, quando siamo compiaciuti (insegnanti, educatori) sono state soddisfatte le nostre aspettative, quando siamo sorpresi l’altro si è manifestato nella sua autenticità, nella migliore espressione di sé. Proviamo a riflettere su quale meraviglia possa nascondere un brutto voto, un comportamento inadeguato, potrebbero trasformarsi veramente nella migliore espressione di sé. Non professiamo l’estetica “del peggio”, parliamo di autenticità sepolta. Le zone d’ombra sono parti imprescindibili nel percorso di crescita. Alcuni nostri studenti sembrano caratterizzati solo da queste, condizionati ad essere invece di essere. Quando l’accesso alla propria fiducia è compromesso, siamo in una condizione di privazione, non abbiamo radici, recisi dal nutrimento, non siamo a casa. Diventiamo aggressivi o regressivi, disturbiamo i nostri compagni o finiamo sommersi dai nostri silenzi. E’ eloquente la frase non essere a casa, descrive una costante condizione di estraneità a se stessi. Nella tristezza così come nella gioia non abbiamo dove tornare.

Agli insegnanti oggi è chiesto di mettere argine a tutto, consiglio di mettere in campo due o tre cose che sappiamo fare, soprattutto di accettare la stanchezza quando arriva. Nella mia esperienza ho constatato come la propria fiducia coltivi fiducia propria nell’altro. A volte la sola intenzione fa la differenza.

Approfondiamo insieme. La fiducia, quella vera, è gratuita (contestualizziamola ora alla nostra classe). Non ha aspettative, non è attenta al risultato, resta in ascolto. Essere in ascolto significa osservare, comprendere dinamiche, comprendere comportamenti e loro motivazioni, senza giudicare. Esistono motivazioni talmente profonde e lontane nel tempo dal non poter giudicare. I comportamenti problema raccontano storie, vissuti personali, hanno una funzione importantissima, sono difese, a volte molto aggressive. Tali difese hanno funzioni vitali, una reazione aggressiva di un adolescente con disturbo del comportamento è una risposta all’ambiente nel quale è cresciuto, probabilmente dal quale si difende, descrive un desiderio di vita. Difficile da credere. Abbattere tali difese significa togliere la terra sulla quale poggiano fragili vite.

Nel giudizio neghiamo parti della persona, nella fiducia accogliamo tutto e diventiamo uno specchio nel quale l’altro inizia a vedere e riconoscere ogni parte di sé. Facile a dirsi! Confesso la difficoltà nel mettere in campo un processo simile a scuola, considerando le molte variabili ambientali, servirebbero momenti di sospensione dallo studio tradizionale, nonché di sostegno agli insegnanti lasciati nelle loro classi a misurarsi con dinamiche difficili da gestire, soprattutto in presenza dei disturbi dell’età evolutiva. Misurarsi con tali disturbi può essere molto frustrante, dal perdere l’interesse e mollare la presa.

Tuttavia nell’accoglienza diamo loro una dimensione e soprattutto una legittimazione. E’ come se dicessimo loro “ti vedo e ti riconosco così come sei. Mi dispiace, nella tua vita ci sono delle cose che ti fanno soffrire e allora ti comporti in questo modo, rispetto la tua sofferenza e non la giudico, tu vai bene così come sei, non c’è nulla di sbagliato in te..”. In questo modo apriamo un’autostrada, all’inizio somiglierà ad un sentiero impervio, ricco di imprevisti, a tratti non riconoscibile dal perdersi (confesso in alcuni casi ci si perde e basta!). Questa modalità consente di costruire relazioni significative, e da qui è tutta un’altra storia. E qui è come se dicessimo “Guardami, questo comportamento è una mancanza di rispetto verso l’ambiente nel quale siamo, fa stare male te, i tuoi compagni e i tuoi insegnanti..” e questa è la fermezza. Gli adolescenti vogliono essere accolti e riconosciuti e allo stesso tempo contenuti e indirizzati. L’accoglienza e la fermezza, l’amore rassicurante e la ferma determinazione consentono di creare una base sicura, sostengono la crescita. Il femminile accoglie e protegge, il maschile accompagna nell’esplorazione del mondo. Molti o parte dei nostri studenti non hanno avuto questa opportunità.

Incapperemo in molti errori, ma la fiducia vera consente la libertà di peccare, per tutti. Nella tradizione buddista peccare vuol dire aver mancato il bersaglio. Trovo interessante questo approccio, sposta l’attenzione dall’idea di colpa-punizione, dall’idea che non andiamo bene, al miglioramento di sé. Semplificando allo stare meglio. L’arciere nell’antica Cina non concentrava la propria attenzione sul centro del bersaglio, era in risonanza con la propria freccia, nel tendere l’arco si apriva all’unione e all’armonia con corda freccia e bersaglio. Si tratta dell’essere partecipe, dell’essere con (strumenti, materiali, persone), meglio dell’essere quì e ora, nel processo. In questa dimensione possiamo sbagliare, mancare il bersaglio, non è importante il risultato ma tutto il processo, stiamo rintracciando bellezza, bellezza immanente. Quando incontriamo la nostra bellezza torniamo a casa, riflessi nel nostro essere, così come siamo, così come è. Il verbo essere è meraviglioso, semplice come il respiro, racconta l’essenziale. Gli adolescenti conoscono il linguaggio sottile della vita, riconoscono l’autenticità dell’altro, il vero interesse nei loro confronti. Conoscono la bellezza ancora prima che questa abbia un nome.

Di nuovo molto facile a dirsi! A bersaglio non centrato l’arciere ricercava l’unione e l’armonia dell’intero processo, e quando il desiderio era finalmente assente, quando il pensiero del risultato veniva meno, tutto si realizzava. Sembrano assurdità, ma quando ripuliamo la nostra mente tutto avviene, non come dovrebbe essere, ma così come è. Razionalizzando, non si tratta di cambiare le persone, ma di educere bellezza, attraverso qualunque cosa, sarà la bellezza propria a trasformare la persona. Non sappiamo quando il cambiamento si manifesterà, possiamo assistere a crescite improvvise o gestazioni lunghissime o niente di tutto questo. Non è importante. Avviene poche volte di fare centro, ma ricordiamoci è sufficiente tendere e tentare, possiamo fare tanto ma non tutto.

L’immagine dell’arciere è un archetipo, un simbolo molto potente. Tutti noi abbiamo archetipi ai quali ci rivolgiamo i racconti dei nonni, il tempo trascorso con loro, abbracci e sorrisi dei nostri genitori, in sostanza l’amore in ogni sua forma, anche quando questa ci piace meno, penso a tutti ”no” dei nostri genitori. Gli archetipi costruiscono immagini potentissime nella nostra parte profonda, ricordo un post wapp di un’amica, mamma e figlia sdraiate sul divano con suscritto “Noi” e un cuore. L’amore è semplice, semplicissimo, si nutre di quotidianità attraverso quell’imperfetta tessitura di gioie e paure, silenzi e risate, tutti importanti. E quando le cose non vanno molte volte sta solo cercando una nuova forma. Questo crea un legame indissolubile con la vita, un legame di fiducia, alla quale possiamo attingere ad ogni istante. Una sorgente inesauribile, qualunque cosa succederà non sarà mai la fine.

Tanti di noi possiedono archetipi, altri meno, altri ancora hanno bisogno di costruirli attraverso la fiducia. Fiducia in sé e nella vita. “Trust the process”.

Federico Lattanzi

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