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Guardiamoli con occhi diversi (2° incontro) – “Liber”.. Per essere liberi bisogna essere figli

Qualche giorno fa ascoltavo un meraviglioso intervento di Alessandro D’Avenia, fonte youtube. Il macro tema era l’adolescenza. Credevo di ascoltare qualcosa utile al mio lavoro, parole intense sull’adolescenza sicuramente molto utili, e invece mi sono ritrovato a riflettere su di me attraverso uno dei grandi temi dell’esistenza, l’amore, nelle sue infinite forme. Questo testimonia come una vera formazione investa prima la nostra vita, non apprendiamo per insegnare agli altri, apprendiamo per conoscere noi stessi. La conoscenza di sé libera, consente di essere liberi, dal latino liber, figli. Per essere liberi bisogna essere figli. L’universo espresso in una parola, l’opportunità di una vita serena e responsabile espressa in una parola. Figli lo siamo tutti e a tutte le età, e lo saremo sempre. Alcuni sono fortunati, vivono e crescono nell’amore, e l’amore crea un legame indissolubile con la vita, trasforma il vissuto in racconti, in storie da tramandare, consente di scrivere la propria storia personale (Paulo Coehlo parla di leggenda personale) ora assolata ora grigia, a volte poco comprensibile. Tuttavia l’amore è lì, è sempre lì, anche quando crediamo di essere soli e abbandonati, ecco in alcuni l’amore dei genitori sta lavorando anche quando si sentono maltrattati e incompresi (atteggiamento tipico dell’adolescenza). Altri sono meno fortunati, hanno incontrato genitori meno capaci, meno inclini, meno amati. Pieni di amore difficile da esprimere, amare presuppone amarsi, allora il racconto di sé diviene discontinuo, così come le nostre azioni. E’ interrotto. La nostra voce interiore è flebile, tendiamo a commettere gli stessi errori, ci affidiamo agli altri, questo perché l’accesso al sé lo consente solo l’amore (l’amor proprio). Altri ancora hanno trovato il vuoto, qualcuno li ha chiamati ad esistere e non è stato lì ad accoglierli, o peggio ancora li ha accolti nel peggiore dei modi.

Allora per essere liberi, liberi di esistere, di realizzare bisogna essere figli, “liber” nell’accezione latina. Tutti nasciamo figli, non tutti lo diventiamo nell’amore, tuttavia tutti dobbiamo accettare di esserlo e per esserlo dobbiamo accettare i nostri genitori, riconoscerli. Vige una relazione speculare tra genitori e figli di reciproco riconoscimento senza il quale la nostra vita non è completa. Quando cresciamo nell’amore siamo riconosciuti nella totalità del nostro essere, saremo criticati, messi in discussione, ma il tutto in un regime di accoglienza. Nelle costellazioni famigliari (terapia) il terapeuta come primo passo invita il partecipante a pronunciare la frase “io ti vedo e ti voglio bene”, ovvero ti riconosco e ti accolgo nella mia vita, così come sei, così come è andata. Alcune situazioni possono essere molto difficili è vero, alcuni dei nostri studenti adolescenti si stanno misurando, stanno cercando di essere figli, non dobbiamo fare loro da genitori ma potremmo gettare un seme di genitorialità. In merito, D’Avenia nel suo intervento racconta un episodio, uno studente sospeso a causa di comportamenti inadeguati attraversa il corridoio scortato da alcuni insegnanti, un’altra insegnante nel vedere scoppia in lacrime, allora lo studente corre verso di lei proferendo: “nessuno aveva mai pianto sulla mia vita.. prometto che cambierò” e così fù. Forse riconoscerli (e riconoscere è un attributo dell’amore) li renderà liberi, ovvero figli, finalmente (un altro seme di genitorialità). Siamo chiamati a recitare piccole parti, a gettare semi, a volte è sufficiente un pianto sentito al posto di interventi educativi strutturati, tuttavia possiamo contribuire in maniera determinante. Il seme sarà pianta, è pianta, e consentirà di riprendere ad ascoltare la nostra voce interiore, suonare le nostre note, scrivere la nostra storia. Pensate, un solo seme.

Ricordiamoci, quando entriamo in classe molti, parte, o alcuni dei nostri adolescenti non sono figli, non sono liberi. Non vuol dire giustificare tutto, ma comprendere molto.

Credevo di imparare qualcosa utile al mio lavoro. La conoscenza di sé è utile a tutti, al nostro lavoro, alle persone con le quali lavoriamo, alle persone che amiamo. Non si tratta di informazioni, contenuti, si tratta dell’essere, della nostra natura, e consente nel tempo di diventare i genitori di sé stessi, nel senso di maestri di sé, dopo aver riconosciuto i nostri di genitori. E questa, ancora una volta, è tutta un’altra storia. “Trust the process”

Federico Lattanzi

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