L’abnegazione è una virtù determinante nel perseguimento del proprio talento. Abbiamo parlato di volontà, umiltà, coraggio, ferma determinazione. L’abnegazione ha qualità sottili, quasi impercettibili. Tratta del sacrificio, tuttavia non viene sacrificata la propria ambizione, aspirazione a favore di qualcuno o qualcosa, viene perseguita l’autenticità del proprio talento abnegando l’ego. E’ “la cosa giusta” da fare, giusta da fare per sé (e il sé è la dimensione nella quale agisce), a prescindere dalle nostre idee, dalle nostre convinzioni. E’ descrivibile come una spinta dal profondo. E’ dedizione assoluta al proprio sentire, e lavoro quotidiano.
Avete presente un diamante grezzo, non presenta alcuna delle qualità cristalline, assolutamente uniche e irripetibili d’una gemma finemente lavorata, non risplende di luce propria, è simile a tanti altri minerali. Avete presente la stessa pietra, con il lavoro diventerà preziosa. E l’essere preziosa, non è misurabile dalla prestazione (dalla stimabilità) ma dall’essere (dall’unicità, così come i nostri studenti) muove dall’essere (non siamo inestimabili perché oltre ogni misura ma perché siamo autentici e l’autenticità non è comparabile). E l’essere per esistere ha bisogna del fare la “cosa giusta”, (sempre per sé), rinunciando ai rumori del mondo. Il termine rinuncia non ha a che fare con la morale, è un’arrendersi alla propria natura (grazie alla quale diventiamo preziosi), meglio ancora alla natura della quale facciamo parte, e rispetto alla quale siamo esseri unici e irripetibili. Rinunciamo alle verità altrui nutrendo la nostra. E’ dedizione piena. Quando parliamo di natura possiamo sembrare astratti, tuttavia proviamo ad osservare un fiore non ne esistono due uguali. Siamo così presi dalle nostre convinzioni dal dimenticare di aprire gli occhi e riconoscere l’unicità, e l’unicità è bellezza. L’abnegazione descrive un grande forza interiore, dobbiamo rinunciare ad essere i più belli per incontrare la nostra bellezza, rinunciare ad essere i più bravi per incontrare la nostra bravura. L’abnegazione sottrae all’ego e restituisce al sé, sottrae alla competizione e muove alla realizzazione. Abbiamo a che fare con l’essenziale, e l’essenziale non è il prossimo al niente ma il prossimo al tutto. E’ il frugale, una sorta di feng shui dell’anima, risponde a quel procedimento del togliere per avere, per avere il nostro dono, talento, chiamatelo come volete, e “l’abnegazione consente di tenere il timone dritto, di rinunciare alle distrazioni, al richiamo delle sirene, alle voci del mondo. Forse è solo la via più determinata con la quale si pulisce l’io da ogni orpello tenendo fermo il timone verso ciò che, per l’io, ha valore. Lo sportivo insegue con abnegazione il suo obiettivo, refrattario ad ogni distrazione o lusinga, volto ad una dedizione assoluta e completa verso il sé” (definizione presa dal sito internet www.unaparolaalgiorno.it ).
Non esiste luogo privilegiato della gestazione, possiamo trovarci all’ombra di giornate grigie o al sole della vita, nutriti dalle avversità o sospinti da un’improvvisa quadratura, il percorso non è lineare e tutto è funzionale.
E rinuncia e dedizione sono le parole chiave. L’una descrive il processo di resa ai nostri talenti, l’altra una totale offerta di sé nel coltivarli. E questo non risponde esattamente ai principi del sistema educativo nel quale viviamo, votato alla competizione.
Ricordo le lezioni andate in onda su Rai 5 di Alessandro Baricco, le ricordo come momenti di umiltà, di abnegazione (alla bellezza) all’esistenza tali da restituire la conoscenza sottoforma di esperienza immediata, cristallina. Non era importante Baricco su quel palco, i suoi libri, i suoi riconoscimenti ma il tutto che egli trasmetteva. La persona diventa un messaggero, l’educatore diventa uno strumento di crescita. Tirare fuori, educere. Il teatro di Baricco non è diverso da una transizione offensiva dei Golden State Warriors, è bellezza, educono bellezza, e la bellezza non è esclusiva della poesia, appartiene alla vita. L’argomento era trasceso, era l’essere umano in termini di conoscenza e bellezza ad essere trattato, meglio ancora era egli stesso (Baricco) a risplendere sul palcoscenico, irradiante. Questo avviene soltanto quando diventiamo strumento di qualcosa di più grande, e questa cosa più grande è dentro ognuno di noi, sono i nostri talenti grazie ai quali incontriamo armonia e pace, forza e energia (e fatica per realizzarli). Grazie ai quali incontriamo l’altro. Siamo stati educati dalla morale dominante a credere che qualcosa di più grande fosse fuori di noi, non è così. E’ il talento a metterci in comunione con l’universo, con Dio, ancora una volta chiamatelo come volete, non potrebbe essere altrimenti è il nostro dono, è la cosa migliore.
Vorrei raccontare la storia di Marco Belinelli, del suo meraviglioso percorso di crescita tutt’ora in essere, dell’abnegazione applicata alla vita quotidiana. Marco Belinelli è un giocatore di Basket, gioca nella nba il migliore campionato di pallacanestro al mondo. Nato a San Giovanni in Persiceto, cresciuto a Bologna, esordisce giovanissimo tra i grandi. Alle olimpiadi di Atene (2004) mette a referto 25 punti contro il team USA, segnava da ogni dove, gli scout impazziscono. Si avvia ad essere uno dei migliori giocatori europei con un futuro luminoso. Ma il destino di Marco non era essere il miglior giocatore europeo, ma il miglior giocatore possibile. Marco sceglie la nba, al draft 2007 viene selezionato dai Golden State Warriors con la 18° chiamata. Si trasferisce nella baia di Oakland a San Francisco, sull’oceano. Gioca una summer league incoraggiante, coach Don Nelson lo utilizza da point guard titolare, il sogno sembra realizzarsi. Tuttavia la realtà è diversa, viene impiegato poco in campionato, l’anno seguente viene scambiato con i Toronto Raptors e altro anno deludente. Tutto lascia pensare ad un rientro in Europa, l’Italia o un grande club europeo, sarebbe così semplice tornare ed essere il migliore, o uno dei migliori giocatori europei in assoluto. Ma Marco non è nato per essere il primo della classe, cedere alle lusinghe, riempirsi l’ego di belle parole. Marco è nato per essere se stesso (non competere ma crescere) e perseguire il proprio sogno (giocare nella nba) attraverso il proprio talento. La visione è chiara, così come volontà, coraggio e ferma determinazione. Rinuncia a tornare ed essere il migliore per restare e diventare nel tempo un giocatore unico. Gli anni successivi li trascorre a Chicago, ricordiamo una gara 7 strepitosa contro Brooklin da 24 punti, segue Charlotte due stagioni molto buone. Le avversità lo ripuliscono dalla ricerca della gratificazione dell’ego e lo sospingono verso la pienezza di sé (realizzazione), e la rinuncia è il viatico alla realizzazione. E la realizzazione questa volta coincide con la vittoria dell’anello con San Antonio franchigia texana, l’unico italiano a vincere un campionato nba. Oggi Marco è un giocatore unico, risplende di luce propria, una pietra preziosa finemente lavorata, è un piacere vederlo giocare, esprimere il proprio talento ogni sera, realizzare il proprio sogno. In queste ore Marco sta giocando a Philadelphia la sua migliore pallacanestro di sempre.
Quando rinunciamo ad essere riconosciuti, apprezzati, quando rinunciamo al diventare per essere, il nostro sogno inizia a risvegliarsi, a venirci incontro, è la quadratura del cerchio (aggiungo momentanea, nulla è definitivo) il resto è lavoro e fatica. Ricordo le parole di Marco Belinelli “cerco di essere il miglior giocatore possibile”non il miglior giocatore in assoluto, l’attenzione è su di sé e sulle proprie zone di sviluppo prossimale, sulle proprie qualità, sul proprio personale talento.
Molte persone mollano poco prima, poco prima che il proprio sogno aderisca alla propria vita.
Marco ha avuto diverse occasioni nella sua carriera per accontentarsi e dimenticare la sua natura di giocatore unico concentrato sul miglioramento di sé, molti giocatori scelgono questa strada preferendo gli applausi. Possiamo vedere un grande giocatore ma non vederne la qualità, e la qualità rende inestimabile il valore poiché trascende le classifiche, non ha nulla a che fare con le statistiche (e quelle di Marco sono ottime), con le valutazioni (il voto) è espressione di sé. E Marco Belinelli è espressione di sé.
Federico Lattanzi
Commenti ( 8 )
Fabrizio says:
4 Agosto 2018 at 20:30Molto profonda. Esempio calzante. Credere nei propri mezzi per vivere di luce propria. Realizzarsi per quello che sei e non per i parametri che il successo richiede. Bravo!!!
Federico Lattanzi says:
15 Agosto 2018 at 9:11Ciao Fabrizio, grazie! Hai fatto un’ottima sintesi dell’articolo.. Molto bella! Grazie ancora!
Federico Lattanzi says:
28 Settembre 2018 at 14:49Grazie Fabrizio! Hai colto in pieno uno dei messaggi dell’articolo “realizzarsi per quello che si è non per i parametri che il successo richiede”. Grazie ancora!
Debora says:
17 Agosto 2019 at 12:02Complimenti! Bellissimo articolo pieno di sfumature importanti da tenere in mente!
Federico Lattanzi says:
29 Agosto 2019 at 15:01Ciao Debora! Grazie dei complimenti! Ho provato a descrivere una delle qualità secondo me importanti per realizzare i propri talenti.. Trovo alcuni grandi professionisti dello sport dei modelli esemplari in questo, consiglio sempre di guardare qualche video, rende tutto molto molto concreto.. Grazie ancora! A presto!
Silvana says:
3 Marzo 2019 at 11:13Molto interessante! Associare le diverse virtù alla crescita professionale. Mi piace questa idea di rintracciare nelle vite di sportivi di fama internazionale.. Rende gli stessi anche più umani e modelli da seguire per i giovani. Complimenti ancora!
Federico Lattanzi says:
6 Marzo 2019 at 17:40Ciao Silvana! Grazie, sono d’accordo diversi sportivi di fama internazionale sono modelli di crescita professionale e personale. Esprimono virtù determinanti per una crescita sana, modelli molto utili agli adolescenti. Grazie per la tua opinione! Saluti! A presto
Ale says:
1 Ottobre 2019 at 17:28🏆